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Article 21 set. 2022
La Moda Digitale e il Suo Impatto sull’Ambiente
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Protagonista indiscusso della settimana della moda è lo shopping, sia tradizionale che online.
Oggi, l’acquisto di abbigliamento ed accessori avviene principalmente tramite smartphone e strumenti simili. Si stima che il settore del fashion retail online potrà generare ricavi per circa 300 miliardi di dollari entro il 2025.
I fashion brand stanno investendo sempre di più nella “trasformazione digitale” per offrire ai consumatori prodotti e servizi innovativi, dalle sfilate alle esperienze di shopping. Tuttavia, quando si tratta di ambiente, l’e-commerce è un’arma a doppio taglio e, se utilizzata inconsapevolmente, può minare l’ecosostenibilità del settore moda.
La Settimana della Moda di Milano è alle porte e risulta sempre più evidente che lo scopo delle sfilate organizzate in questo periodo dai diversi brand sia passato dall’essere una semplice strategia di marketing al diventare una nuova modalità per promuovere le vendite.
Tramite l’uso delle piattaforme online, il numero di opportunità di vendita immediata di nuovi modelli cresce esponenzialmente di anno in anno, con conseguente aumento dei ricavi delle varie maison per ogni stagione. Il modello see-now/buy-now ha acquisito sempre più successo grazie a siti come Runway360 (che semplifica l’e-commerce, i pre-ordini e gli acquisti all’ingrosso per i marchi), per non parlare della possibilità acquistare tramite le nuove funzionalità delle piattaforme social come Instagram e TikTok. L’anno scorso, durante la Settimana della Moda di Stoccolma, è stata lanciato lo shopping in livestream per le collezioni presentate nel corso dell’evento, grazie alla collaborazione con partner tecnologici come Boozt e Bambuser.
L’e-commerce ha avuto un impatto così forte sull’industria della moda che solo i marchi in grado di adattarsi ed innovarsi costantemente potranno continuare ad essere considerati protagonisti del settore.
Naturalmente, la legislazione ha accompagnato questo processo. In Europa, l’Electronic Commerce Directive (2000/31/CE) ha dato il via ad una costante evoluzione della normativa, rappresentando “un quadro giuridico orizzontale che ha costituito la pietra angolare per la regolamentazione dei servizi digitali nel mercato unico europeo”.
Nel 2015, l’Unione Europea ha lanciato la Digital Single Market Strategy per abbattere le barriere, normative e non, al fine di facilitare la nascita di opportunità di shopping online, con l’obiettivo di garantire ai consumatori e alle imprese un migliore accesso ai beni e ai servizi presenti sul web. In Europa, quindi, è iniziato il processo per ridurre il divario tra il mondo online e quello offline.
Recentemente, l’Unione Europea ha approvato due atti legislativi fondamentali: il Digital Services Act (“DSA”) e il Digital Markets Act (“DMA”). Il DSA disciplina gli obblighi dei provider di servizi digitali, i quali agiscono come intermediari tra i consumatori, da un lato, e i beni, i servizi e i contenuti presenti nei mercati online. Ciò permette l’eliminazione di superflui oneri legali, creando l’ambiente ideale per l’innovazione, la crescita e la competitività. Dall’altro lato, il DMA prevede un’ampia gamma di obblighi per i “gatekeepers” dei servizi di base delle piattaforme con riguardo a dati, pubblicità, commercio elettronico, interoperabilità e in relazione al rapporto commerciale tra fornitori di servizi, clienti e utenti finali. Oggi, i rivenditori online sono tenuti ad evidenziare i casi in cui mostrano ai consumatori prezzi “personalizzati”, ovvero prezzi adattati ad un individuo tramite un algoritmo che utilizza dati o caratteristiche personali.
L’Unione Europea sta cercando di semplificare e rendere più sicuro lo shopping online per i consumatori indipendentemente dal paese dell’Unione Europea dal quale effettuano l’acquisto. Norme a livello europeo per porre fine alla discriminazione online sulla base della nazionalità o del luogo di residenza sono state previste dalla Commissione Europea. Inoltre, al fine di ridurre i costi di consegna dei pacchi transfrontalieri, la Commissione Europea ha stabilito nuove regole per rendere più economica la spedizione di un pacco da uno Stato membro all’altro.
L’e-commerce ha reso lo shopping una forma d’intrattenimento sempre disponibile e talvolta coinvolgente. Se l’aumento delle vendite è fondamentale per il business, non lo è necessariamente il suo impatto ambientale. L’industria della moda è la seconda più inquinante al mondo: sovrapproduzione, gestione delle discariche e dei rifiuti, emissioni di CO2, consumo di acqua e, in alcuni casi, sfruttamento dei lavoratori sono fenomeni ricorrenti nella filiera produttiva.
Acquistare online significa produrre enormi quantità di cartone e plastica, per non parlare delle emissioni di carbonio generate dal trasporto delle merci, a volte da un continente all’altro. L’e-commerce e la vendita al dettaglio tradizionale si differenziano essenzialmente per: il trasporto (il prodotto è stato consegnato al consumatore o è quest’ultimo che si è recato ad acquistarlo?); gli edifici (il prodotto è esposto in vetrina o è riposto in magazzini?) e i rifiuti d’imballaggio. Vale la pena di chiedersi, dunque, se queste differenze abbiano incrementato o diminuito l’impatto ambientale dell’e-commerce di prodotti fashion.
L’anno scorso, il Real Estate Innovation Lab del MIT ha pubblicato uno studio relativo alla misurazione ed al confronto delle emissioni di gas serra durante gli acquisti online e nei negozi fisici. Da ciò è emerso che lo shopping online risulta più sostenibile di quello tradizionale nel 75% dei casi. Tali conclusioni sembrano ragionevoli, ma non tengono in considerazione che l’e-commerce ha reso più comodo ed immediato fare acquisti, anche d’impulso, con conseguente aumento dei resi rispetto agli acquisti tradizionali. Le emissioni causate dal trasporto raddoppiano in caso di restituzione e triplicano in caso di sostituzione dell’articolo. Infine, deve essere tenuto in considerazione l’elevato numero di resi che finiscono in discarica perché non possono essere né rivenduti né ricondizionati a causa di costi elevati.
Le principali aziende di e-commerce, a partire da Amazon e Zalando, stanno attuando misure per ridurre il loro impatto ambientale, ad esempio investendo in veicoli elettrici, energia rinnovabile o introducendo borse riutilizzabili, ottimizzando le quantità dei materiali per il confezionamento ed eliminando le materie plastiche monouso dagli imballaggi.
Allo stesso modo, l’Unione Europea si sta impegnando a fondo per rendere l’industria della moda più sostenibile ed attenta all’ambiente, dando impulso alla sua digitalizzazione. L’Unione Europea ha elaborato la Strategy for Sustainable and Circular Textiles, che copre l’intero ciclo di vita dei prodotti tessili, sostenendo le transizioni verdi e digitali. Tale strategia affronta il modo in cui i prodotti tessili vengono prodotti, venduti e smaltiti, considerando anche le soluzioni tecnologiche sostenibili e i modelli di business innovativi e attua gli impegni presi nell’ambito del Green Deal europeo, del nuovo Circular Economy Action Plan e della Industrial Strategy e “mira a creare un settore più verde, competitivo, moderno e resistente agli shock globali”.
Dai diritti dei consumatori ai diritti dell’ambiente, la legge tutela digital area sempre più estese con l’obiettivo di prevedere i diritti e gli obblighi derivanti dallo sviluppo delle nuove tecnologie.
La fashion law si estende sempre di più, regolando attività molto diverse tra loro. La conoscenza dettagliata di ognuna di queste norme e della loro applicazione ai progressi tecnologici diventa dunque essenziale al fine di competere e avere successo nel settore della moda e del lusso.
Pubblicità per gli avvocati. Il materiale contenuto in questo avviso ai clienti è solo una rassegna generale degli argomenti trattati e non costituisce una consulenza legale. Nessuna decisione legale o commerciale deve essere basata sul suo contenuto.
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Daniela Della Rosa
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Milan
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